Negli anni '70 ci fu una sorta di controcorrente che fronteggiò l'accademismo prevalente del momento, il decostruttivismo. Gli artisti grafici associati al movimento punk hanno dimostrato un'alternativa ai modelli rigidi e consolidati nella professione. Sebbene la decostruzione sia nata all'interno dell'architettura, il design grafico ha presto assunto il termine e molti artisti lo hanno preso come il principio che ha sostenuto le loro opere. Si tratta di un concetto privo di rigore e precisione poiché in nessun momento si è affermato come corrente in sé o come ismo all'interno delle avanguardie.
Nonostante ciò presentava alcune caratteristiche che lo rendevano definitivo e che caratterizzavano le creazioni di artisti che, pur conoscendo gli standard prevalenti e ufficiali del graphic design in quel momento, decisero deliberatamente di non applicarli. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'obiettivo di questa tendenza non è stato quello di distruggere una composizione, ma di modificarne la struttura e di assegnarle una funzione diversa. Ciò ha un impatto diretto sul linguaggio e sul modo di presentare una proposta poiché la gerarchia nel trattamento delle informazioni è andata persa e il messaggio da trasmettere è diventato alquanto diffuso. In architettura, che è all'origine di questa tendenza, la decostruzione è avvenuta soprattutto all'interno degli edifici, dove i segni di a impurità repressa come componente simbolica. La dislocazione, il disordine e la deviazione dei concetti sono elementi chiave e forniscono un'impressione caotica, un senso di incontrollabile mentre ineffabile da parte di tutti coloro che hanno osservato le opere. È un'estetica che flirta e si mescola con il cubismo e il surrealismo nelle arti grafiche e che sembra tornare in auge, soprattutto nel campo della fotomanipolazione. Ecco alcuni esempi molto stimolanti: